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Drappi rossi per Myanmar
Il Firenze, 1 ottobre 2007

 
Sono intense e drammatiche le immagini provenienti da Myanmar (ex Birmania). Giovani monaci che marciano, avvolti nelle tuniche rosse, che hanno ormai la valenza di un simbolo. Aun Sang Suu Kyi che prega, in un silenzio che pesa più di mille proclami. Giovani che sfidano la polizia. Il fotoreporter giapponese Kengji Nagai che cade, ucciso, impugnando la macchina. C’è molto da riflettere su quel che sta avvenendo in Myanmar. Sulla forza dirompente che può avere una coscienza
religiosa premurosa del bene comune, che si congiunge con la coscienza civile.
E’ propria delle espressioni più significative del monachesimo, in diverse culture religiose, in Occidente e in Oriente, la capacità di misurarsi talora con prove estreme. Così fu in Europa, quando i seguaci di Benedetto fecero da riferimento a vinti e vincitori, a barbari e romani.
Per quel che riguarda il buddismo, cui si imputa di non possedere il senso della storia, evidente è la particolare premura per la sofferenza dei viventi. E’ certamente la spinta che ha motivato i monaci birmani a dare espressione al bisogno di riscatto dell’intera società.
E’ parte esemplare di una globale “marcia dei diritti umani” la mobilitazione non violenta del popolo birmano. Ricorda le manifestazioni dell’Ottantanove: quelle dell’Europa centro-orientale e quelle di Tien an men. Schiacciate nel sangue. Mentre in Myanmar cala la scure della repressione e tutto è appeso al filo della mediazione dell’inviato dell’ONU, Ibrahim Gambari, bisogna mobilitarsi perché non finisca come nel dopo-Tien an men. Perché, almeno, il sangue non sia versato invano. C’è un
imperativo: “Non abbandoniamoli”. Gli Stati (Russia, Cina, in parte India) che, per calcoli interessati, impediscono una netta presa di posizione contro la Giunta militare, devono avvertire ’universale disapprovazione.
Non è semplice non dimenticare Myanmar. Con i mezzi di informazione che già relegano le notizie di quell’angolo di mondo negli spazi interni, dopo Garlasco e le liti tra Mastella e di Pietro. E’ una deriva da contrastare.
Il rosso, simbolo dei coraggiosi monaci buddisti, continui ad essere esibito sui vestiti e con un fiorire di drappi alla finestre, come per i colori arcobaleno della pace. “Usate la vostra libertà per promuovere la nostra”. Sono parole di Aung San Suu kyi. Da tenere a memoria.


Severino Saccardi
Direttore di “Testimonianze”
Consigliere regionale della Toscana
 

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