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L'occasione della crisi, per ritrovare i valori
pubblicato sul "Corriere Fiorentino" il 2 gennaio 2014

Valgono per tutti gli auguri di Buon Anno. Alcuni hanno un valore particolare: come quello da inviare idealmente a padre Paolo Dall’Oglio, da cinque mesi sequestrato, e prigioniero, in qualche angolo dell’inferno siriano. E’ un uomo-simbolo, Paolo Dall’Oglio. Che la sua auspicabile liberazione sia il segno di una nuova attenzione ai «prigionieri di coscienza» nel mondo. Un mondo in cui è talora richiesto il coraggio di mettere a repentaglio l’ integrità fisica per esprimere la propria identità culturale e religiosa o per richiamarsi ai principi della Dichiarazione universale dei diritti umani. Auguri di Buon Anno a quelli che soffrono a causa della loro fede religiosa. L’augurio è che sia rimessa in discussione la rimozione della persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, in tante regioni dell’ Africa, in Pakistan. Andrebbero difese le ragioni di quelle comunità non tanto perché sono comunità cristiane, ma perché la libertà di religione e di opinione sono principi di cui va rivendicata la universale validità. Per i credenti delle diverse fedi e per i non credenti. C’è molto da fare in merito. Il lavoro da fare non manca nemmeno in altre direzioni. Ce l’ha ricordato, passando da Firenze, invitato da Amnesty e da «Testimonianze», Andrei Mironov, attivista russo dei diritti umani. Che parlò della mai rimarginata ferita della guerra di Cecenia. Auguri, Andrei. Ce n’è bisogno in un momento in cui le immagini della violenza spietata degli attentati kamikaze ridanno, nel flusso della comunicazione globale, il senso drammatico della transizione incompiuta della società russa e delle terre riemerse dall’esplosione dell’impero sovietico. E’ un arduo augurio, in un momento come questo, che forse ha ancor più valore: che sia un anno di pace per russi e ceceni. Come si dice ogni volta che un calendario viene riposto ed un altro si apre: «Che sia un anno di pace». Ma la pace non si mantiene da sé. Ha bisogno della libertà, dei diritti, della giustizia. Bisogna riscoprirne il valore, nel tempo di una crisi che ha origini nell’economia, ma che investe anche l’antropologia, cioè le relazioni umane. Un papa che ha assunto il nome del poverello di Assisi non fa che riportarci alla radice delle cose. All’istanza di quel «convivio universale» (di cui parla anche l’ultimo numero di «Testimonianze» sui «Cibi del mondo») a cui tutti, indipendentemente dalle latitudini, dalle origini sociali e dalle appartenenze culturali, dovrebbero essere invitati. E’ il tema che è stato al centro anche della Marcia della pace, promossa per Capodanno (a partire dal luogo-simbolo dell’ex carcere delle Murate) dalla Comunità di S. Egidio. Per ricordare che la crisi può essere anche un’occasione per ripensare i nostri valori di fondo. Per ripartire, anche, dalla considerazione degli «ultimi» (i «nuovi poveri», gli anziani, i migranti, i carcerati….) non per «buonismo» o per un senso di obbligato «altruismo» che dura lo spazio di un mattino. Ma perché una società basata, oltreché sul merito, sull’inclusione è una società più solida e consapevole oltreché più giusta. «Gli ultimi saranno i primi»: il detto evangelico, su cui non sarebbe inopportuno qualche momento di laica meditazione, appare, a prima vista, quanto mai inattuale nell’incupito scorcio di tempo in cui ci è dato vivere. Ma, a volte, niente è più preveggente dell’assunzione di una dimensione di inattualità che nasconde in sé il germe imprevedibile del domani. Parte da Firenze, in questo inizio d’anno, un augurio che ha la forza di un monito consegnato a futura memoria.

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