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Pasqua di sangue, l'alibi del colonialismo
Pubblicato sul "Corriere Fiorentino" martedi' 5 aprile

Pasqua di sangue. Con un gran numero di vittime a Lahore (Pakistan) e in Iraq. Ma il mondo si adagia, si abitua, dimentica. Viene da interrogarsi (come sottolineava Mario Lancisi, ieri) sui motivi di fondo di tale tendenza alla rimozione.  C’è un elemento a cui non viene sempre dato risalto: i morti di Lahore appartengono, per lo più, ad una minoranza religiosa. Vi sono, certo, anche, caduti di fede musulmana, ma l’obiettivo erano i cristiani. Attaccando i cristiani  si vuole  colpire la convivenza tra diversi. Un tema che ai democratici occidentali dovrebbe stare a cuore. E che invece non riceve spesso molto più di una dovuta, e quasi svogliata, menzione.  Perché le persecuzioni dei cristiani (ma, in genere, i temi della libertà religiosa nel mondo) ricevono così scarsa attenzione? E’ forse il caso di formulare in merito qualche riflessione (auto)critica. La secolarizzazione e la laicizzazione della nostra società hanno conseguito obiettivi importanti : la separazione della sfera politica, civile e politica da quella religiosa (che va difesa da vecchie e nuove forme di integralismo )  e una notevole liberalizzazione di mentalità e costumi.  Ma hanno prodotto, anche, una notevole carenza di conoscenza culturale della dimensione religiosa, che sfocia talora nell’indifferenza e nell’insensibilità.   Di tale situazione, opinione pubblica e mondo dell’informazione sono lo specchio,  inconsapevole quanto trasparente. Occuparsi di libertà religiosa, e ancor più di quella delle minoranze cristiane in Africa o in medio Oriente, sembra  un argomento minore o di scarso interesse. Ma c’è un altro riflesso condizionato, su cui dovrebbero (o dovremmo, vorrei dire, essendo lo scrivente parte in causa)  riflettere la sinistra, i cattolici democratici, i  movimenti per la pace.  Che hanno probabilmente  memoria delle parole di don Milani :  “Essere uccisi dai poveri non è un glorioso martirio”.   Non aleggia, in altre parole, tuttora, la convinzione che la storia delle comunità cristiane del Sud del mondo o del medio Oriente rechi in sé il segno dei nefasti trascorsi del colonialismo, della dominazione imperialistica e della sopraffazione dell’Occidente?  Come difendere allora, senza remore, i  pur incolpevoli cristiani che, oggi, subiscono vere e proprie persecuzioni?  E che, pure, non sono, letteralmente, che dei poveri, e martoriati, cristi?  C’è un bell’esame di coscienza da operare. E c’è qualche parola chiara da spendere.  Continuare a chiamare in causa le colpe immani dell’Occidente (che bisogna insistere a criticare a fondo, beninteso)  non  deve comportare  una qualche forma di attenuazione o contestualizzazione della natura degli atti criminali del terrorismo. Ed è pernicioso  semplificare   storie complesse come quelle delle comunità cristiane extraeuropee, che vanno ben  distinte da  vicende, come quelle della dominazione coloniale e del neo-colonialismo, con cui pure sono state talora intrecciate.  E’ tempo di comprendere che se non ci si impegna la libertà altrui, anche la nostra sarà presto messa in discussione.   La difesa della laicità e libertà religiosa qui da noi non va disgiunta da quella della libertà di coscienza nel mondo.  A proposito di don Milani, si racconta anche che ai suoi alunni mostrasse una foto che ritraeva un torturato e un torturatore.  E che ponesse  loro la domanda: “Tu, da che parte stai?”.  E’ forse la lezione più bella del cattolicesimo democratico e della grande Firenze di un tempo. “ Stare dalla parte delle vittime.  Sempre”. Oggi, bisognerebbe  tenerla a mente.

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