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Troppi silenzi sulle persecuzioni di cristiani nel mondo
Pubblicato su "Stamptoscana.it" il 31 luglio 2014

Troppe volte l’Europa sembra non voler vedere l’enormità della sofferenza e del dolore umano che, in tanti ambiti della vita, si dispiega nella vasta dimensione del “non Occidente”. Anche nelle aree a noi più contigue o vicine. Un aspetto che risulta particolarmente ignorato, rimosso o non considerato è quello delle persecuzioni religiose. Recita l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Ognuno ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Questo diritto comprende la libertà di cambiare religione o convinzione, e la libertà di manifestare (…) la propria convinzione, con l’insegnamento, le pratiche, il culto e l’osservanza dei riti”. Principi che sono evidentemente, ed estesamente, violati in questi, ormai avanzati, anni duemila. Purtroppo, l’abitudine ed un riflesso quasi condizionato della nostra informazione e della nostra politica portano, rispetto a questi scottanti temi, a girare costantemente la testa dall’altra parte. Non è certo in cima alla priorità dell’agenda pubblica, la difesa della libertà religiosa nel mondo. Non fanno notizia gli attentati alle chiese cristiane in Sudan, l’evacuazione forzata e le minacce alle comunità cristiane in Iraq, le vicissitudini dei cristiani in Siria. Perché questo è il punto, se le cose vanno chiamate chiaramente per nome: è in atto, in non pochi paesi ed in diversi contesti, un’autentica pratica di discriminazione e di sistematica persecuzione, dei credenti cristiani. Assistervi con indifferenza equivale ad un’omissione o, peggio, ad un atto di sostanziale acquiescenza o complicità. C’è una vera battaglia culturale da fare in tal senso per contrastare l’attuale tendenza alla rimozione di tale enorme questione, che già Giovanni Paolo II aveva, a suo tempo, più volte drammaticamente richiamato. Coerenza vorrebbe che si dovesse difendere, in ogni contesto e ad ogni latitudine, la libertà di coscienza di tutti e di ciascuno. Quella di credere e di aderire ad una fede religiosa e quello di non aderirvi. Ma anche quella di poter cambiare idea e di convertirsi da una religione ad un’altra senza essere accusati (con gravi conseguenze) di apostasia, rinnegamento e blasfemia. In tale impegno dovrebbero particolarmente distinguersi coloro che fanno riferimento, com’è nel senso comune del nostro Occidente, ai valori della tolleranza, della laicità, della lotta ad ogni forma di integralismo e di clericalismo, in nome del pluralismo , della libertà di pensiero e del multiculturalismo. Ma le cose, purtroppo, non stanno così; credo che colga nel segno, in merito, l’editoriale di Ernesto Galli Della Loggia di qualche giorno fa (“Corriere della sera” del 28 Luglio) significativamente intitolato: “L’indifferenza che uccide” ed incentrato sulla denuncia del “silenzio sui cristiani perseguitati”. Difendere i cristiani perseguitati (al pari di qualunque comunità religiosa che subisca discriminazione) non significa assumere o difendere una causa particolare; significa, piuttosto, sottolineare e ribadire l’universale valore del principio della libertà religiosa e della libertà di pensiero. Che devono valere per i credenti di ogni fede religiosa e per i non credenti. C’è un’inversione (culturale) di rotta da compiere in proposito.   Servono pronunciamenti chiari ed inequivoci. A Firenze ed in Toscana le diverse comunità religiose (cristiane, ebraica, islamica) impegnate in un significativo dialogo che ha avuto momenti di grande impatto (si pensi al Festival delle Religioni di qualche mese fa) dovrebbero in merito far sentire unitariamente la loro voce. Dovrebbero pronunciarsi e promuovere iniziative su tali temi di fondo anche le istituzioni di città e luoghi-simbolo come Firenze e la Toscana. Proprio chi è impegnato qui a promuovere, sul proprio territorio, uno sfaccettato   “pluriverso” culturale e religioso dovrebbe averne a cuore la libertà dei credenti di ogni fede nelle diverse parti del pianeta. Vale, dopo tutto, più che mai nel nostro mondo della complessità, l’antico avvertimento. Che invita in risposta alla domanda “per chi suona la campana?” a non scordarsi che è per ognuno di noi che essa potrebbe inesorabilmente suonare .

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