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Omar Calabrese, intellettuale dell'impegno civile e politico
Pubblicato lunedi' 2 aprile su "Stamptoscana.it"
Se ne è andato, proprio di fronte a quel piccolo schermo di cui, con costanza ed originalità, aveva studiato il ruolo, l’efficacia e la capacità di condizionamento nella “società della comunicazione”.
Omar Calabrese, semiologo (cioè “studioso dei segni”, come il suo maestro Umberto Eco), intellettuale sensibile e attentoalle tematiche dell’impegno civile e politico, alla forza di penetrazione del mezzo televisivo (ed alla sua interazione con “vecchi” e nuovi media, dalla radio alla forza pervasiva della “rete”) ha dedicato approfondite ed originali analisi. Ne ha scritto in libri, saggi ed articoli e ne ha parlato in innumerevoli lezioni e conferenze. Suoi (e di Ugo Volli) erano i consigli e le indicazioni su “Come si vede il telegiornale” (pubblicati una trentina di anni fa). Osservatore critico dell’interazione fra linguaggio politico e comunicazione e delle trasformazioni indotte dalla spettacolarizzazione e personalizzazione del confronto fra partiti e schieramenti contrapposti, ha anche scritto: “Come nella boxe. Lo spettacolo della politica in tv”.
Moderno ed efficace comunicatore egli stesso, Omar Calabrese si è mosso, nel suo impegno culturale e politico, su più livelli e su più piani: si è occupato di semiotica della pittura e del linguaggio dell’arte e di “età neobarocca”, ma è stato anche attratto dal coinvolgimento più diretto nel dibattito politico, fiancheggiando e accompagnando alcuni dei passaggi (come quello di un famoso ritrovo alla Certosa di Pontignano) del travagliato percorso del centrosinistra “prodiano”.
Non a caso, Romano Prodi lo ricorda con affetto e ne ricorda il “contributo determinante”.
Ha avuto anche incarichi istituzionali connessi al suo importante ambito di competenza. E’ stato consigliere comunale a Bologna ed assessore alla cultura a Siena
Personalmente, durante il periodo del mandato in Consiglio Regionale, ho avuto modo di conoscerlo e di frequentarlo, nella sua qualità di presidente del Corecom (Comitato regionale per le Comunicazioni).
In precedenza, avevo avuto modo di sentirlo poche volte e, in un’occasione, per la verità , avevo anche discusso con lui per la sua mancata partecipazione ad un convegno su “Società europea e modello americano”. Un incontro (quello con lui) cui arrivavo, dunque, inizialmente un po’ prevenuto. Il rapporto che si è sviluppato ha permesso, invece, di rilevarne la disponibilità, l’apertura e la propensione all’ascolto. Mi sono tornate alla mente, non appena appresa la notizia della sua improvvisa scomparsa, le discussioni (in sede Corecom) sulla qualità e sulle caratteristiche delle trasmissioni e della comunicazione, nei diversi contesti locali, delle emittenti televisive della nostra Regione. Radio, televisione, nuovi media, giornali facevano, per lui (e questo riusciva a trasmettere nel dibattito ed a riportare nelle discussioni di lavoro) parte di un complesso gioco di interazioni che, nel tempo della “comunicazione globale”, si rivela sempre più decisivo, nel suo insieme, per la formazione (o la de-formazione) culturale del cittadino-consumatore-utente. Che l’utente non fosse solo fruitore passivo e che le istituzioni dovessero fare, in questo, la loro parte, era, per Omar Calabrese, il criterio-guida e, direi, l’intimo imperativo con cui seguiva anche le fasi più minute del lavoro. Una convinzione che traspariva, in controluce, dalle immagini del videoproiettore con cui (da buon comunicatore) accompagnava le relazioni ufficiali, che riaffiorava nelle sue relazioni e che sempre era presente perfino nelle comunicazioni e conversazioni informali.
Che si ponesse, d’altra parte, in ascolto delle sollecitazioni che gli giungevano, chi scrive può personalmente darne conto. Ricordo che gli fu sottoposto il tema delle riviste di cultura, su cui avevo allora presentato una proposta di legge in Consiglio Regionale. Calabrese, uomo moderno, aperto alle “nuove frontiere” ed  alle stesse logiche e sollecitazioni del mercato nel settore dell’editoria e della comunicazione, si guardò bene dal liquidare l’argomento come una sorta di ripoposizione di sorpassati “reperti” della cultura novecentesca. Egli stesso, uomo di penna e saggista originale, si mostrò molto sensibile al tema dell’interazione fra il lavoro di approfondimento (che è proprio dei periodici culturali) e la dimensione della comunicazione “in tempo reale”, capace di generare un flusso ininterrotto di notizie senza però fornire elementi di discernimento, selezione e lettura critica.
Omar si propose allora di impostare sulla situazione delle riviste di cultura in Toscana un’approfondita indagine conoscitiva. Poi le cose cambiano. Se quell’indagine sia andata avanti non saprei dire.
Non è che un episodio, naturalmente. Come sempre, quando se ne va una persona che abbiamo incrociato per la via, ognuno la colloca nei ricordi che sono, per lui, significativi.
Ma rimane nella mente, al di là della specificità dell’argomento allora affrontato, la capacità di interlocuzione di un uomo che mentre guarda il nuovo ha cura non disperdere il deposito di competenze e di esperienze che costituiscono l’humus più fecondo di quella Regione in cui Omar Calabrese (in questo, il suo attaccamento a Monteriggioni assume quasi la forza di una suggestione) era così evidentemente radicato.
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