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50 anni di solitudine del tibet
Il Nuovo Corriere di Firenze, 9 marzo

E’ una drammatica ricorrenza, quella del 10 Marzo. Giornata-simbolo della “grande repressione” cinese contro il popolo tibetano, nel 1959. Il Tibet era stato occupato nel 1950. Un anno dopo la presa del potere da parte di Mao. Con una rivoluzione che si voleva portatrice di istanze di liberazione. E che, mostrando il proprio carattere intimamente contraddittorio, mentre riscattava l’orgoglio nazionale della Cina, reduce dalla lotta antigiapponese, assoggettava un altro popolo. Un popolo, quello tibetano, restio ad accettare la “normalizzazione”. Sui sanguinosi “fatti del  Marzo ‘59” esistono versioni contraddittorie. Pechino chiamò in causa  il “complotto della Cia”. Ma, ieri come oggi, non c’è bisogno di complotti per  spiegare la rabbia esplosiva del popolo tibetano. Che, in nome della “modernizzazione”, innegabile ma imposta, si è sentito espropriato della propria identità culturale ed ha subito l’ “ invasione” dell’etnia Han, che altera la composizione della  popolazione del Paese.
E’ uno spartiacque, il 1959. Alla “rabbia del Tibet” le autorità cinesi risposero con arresti ed uccisioni di massa, cui seguirono l’esilio del Dalai Lama e l’esodo di molti suoi connazionali. Al “World day Tibet”, che rimanda a quella drammatica memoria e vuol riaffermare il sostegno alla “causa  tibetana”, si richiama, con un giorno di anticipo, un’iniziativa unitaria   del Consiglio Regionale, (Via Cavour 4, oggi, ore 12.00), con rappresentanti di tutte le parti politiche. Per ribadire il carattere indissolubile dell’impegno per i diritti umani. Da far  valere sia in relazione alla “questione tibetana”, sia sul “fronte interno” della Cina medesima, che è chiamata a decisi passi in avanti.
All’incontro parteciperanno anche il tibetano Topgyal Gontse  e Valentina Dolara, della Comunità Buddhista di Pomaia. Presenze  doppiamente significative. Per le ragioni che rappresentano. E perché danno evidenza a quel “pluriverso” di culture e religioni che è, ormai, la Toscana.

 

Severino Saccardi

 

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