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Gli angoli bui della globalizzazione
Il Firenze, 29 agosto 2006

 In genere, viene chiamata “globalizzazione”. I francesi, in maniera più estensiva e forse più calzante, parlano di “mondializzazione”. Con un riferimento implicito non solo agli aspetti economici, ma anche a quelli sociali, culturali ed antropologici, dell’interdipendenza fra i vari angoli del pianeta.
Che viviamo ormai, in un mondo sempre più “globale” e interconnesso non vi è, comunque, alcun dubbio. Te ne rendi conto in ambiti del tutto inattesi. In una delle visite che ripetutamente chi scrive va compiendo, come consigliere regionale, presso le carceri toscane, è occorso di udire un detenuto di Sollicciano ricordare con naturalezza: “Viviamo dopotutto nel terzo millennio”. Ed un altro, un “extracomunitario”, ha detto in un italiano pulito e “colto”: “Ci vogliono nuovi orizzonti”.
Suggestioni sorprendenti e incoraggianti in un contesto come quello carcerario. E’ in luoghi come questi che emergono gli angoli bui della globalizzazione. Giovani e migranti, di svariata etnia e cultura, in gran numero fra i detenuti. La città-mondo, potremmo dire con le parole del grande Michelucci, si struttura anche all’interno della “città carcere”. Non è solo una questione di carattere penale: è uno dei volti della nuova “questione sociale”.
Si intrecciano variamente temi interculturali e nuovi temi sociali. Pensiamo anche alla sicurezza ed agli incidenti sul lavoro (anche ai troppi accaduti in Toscana): chi sono coloro che sono disponibili a svolgere certe mansioni? Chi vive, opera e rischia quotidianamente sui cantieri? E quale formazione (e con quale approccio linguistico e culturale) ricevono in materia di sicurezza i tanti lavoratori di origine “straniera” assunti in molte microimprese del mondo dell’appalto e del subappalto?
L’universo dei migranti cerca prospettive, vive problemi e drammi. E’ vissuto da una certa opinione pubblica solo come problema.
L’esempio luminoso di Iris Noelia, la giovane clandestina honduregna perita nelle acque dell’ Argentario, è lì a ricordarci che i migranti pongono anche l’esigenza di una nuova cultura dei diritti.
Prima di tutto quella del diritto ad una “buona informazione” che sappia dar conto
dei cambiamenti della società senza stereotipi o pregiudizi.
E’ vero quel che inaspettatamente è capitato di udire in uno dei “luoghi bui” della globalizzazione: vivere nel “terzo millennio” chiede decisamente di esperire “nuovi orizzonti”.


Severino Saccardi
Direttore di “Testimonianze”
Consigliere regionale della Toscana
 

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