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Il tema del Nulla ed i colori della vita
dal nn. 486-487 di "Testimonianze"

Due suggestioni si presentano alla mente. La prima è quella legata all’annuncio di pochi giorni fa delle dimissioni di Benedetto XVI[1]. Un gesto che, al di là delle sue conseguenze sugli assetti della Chiesa cattolica, provoca profonde risonanze spirituali ed emotive. Anche in molti non credenti. Esprime una fragilità che è anche ricchezza e risorsa: dal punto di vista umano e (per chi ce l’ha) in una prospettiva di fede. Evoca immagini di sofferenza e di (auspicabile) ritrovamento e rinascita. La seconda suggestione è legata alla constatazione che questo nostro volume uscirà immediatamente prima della Pasqua. Siamo, come si dice, in tema.

Riflessioni e vibrazioni

Un tema grande quanto apparentemente «inattuale»[2]. Che è, però, capace di suscitare vibrazioni e riflessioni (non solo sul piano della fede, ma anche in ambito culturale, artistico-letterario, filosofico, antropologico ed esistenziale) e di convocare a confronto con le immagini con cui il «tema Resurrezione» è associato dagli uomini e donne degli anni duemila. Molteplici, e di grande impatto, sono i riferimenti che in merito provengono dai contributi degli amici che sono cortesemente intervenuti nella nostra sezione monotematica. A partire da Sergio Givone, alla ricostruzione dell’ampio colloquio con il quale rimando anche per le considerazioni personalmente sviluppate da chi scrive in un produttivo scambio di idee. Il discorso,  quello fra noi due e quello proposto nelle riflessioni  dai diversi autori, si svolge su più piani. Tre appaiono, fondamentalmente, i «significati» che all’evocativo termine di «Resurrezione» sono stati attribuiti. A partire da quello della «Resurrezione» come metafora di un cammino di libertà e di riscatto sociale nella storia. Un elemento cardine, certamente, delle visioni millenaristiche, del richiamo alla forza sorgiva del messaggio evangelico delle origini, dei movimenti «ereticali»[3] e delle minoranze cristiane, oltre che delle esperienze di non pochi santi e movimenti a vocazione sociale della stessa Chiesa cattolica. Un’idea che può modernamente coniugarsi, al di fuori di ogni visione totalizzante, con l’istanza

della laicità. O che può essere ritrovata in testimonianze, eroiche fino al sacrificio della vita, quella di Mons. Romero, v. Bigalli) e in esperienze come quelle della «Teologia della liberazione». Ma, al di là di questo, vi sono tracce  di percorsi personali di «resurrezione» in tante esperienze di ritrovamento  di sé (v. Affinati e Sbordoni) e di riemersione dai tunnel oscuri in cui a volte si è rinchiusi dalla vita: nella marginalità, nella dipendenza dalla droga, nell’universo chiuso del carcere (dii cui parla, in un’altra parte della rivista, Franco Corleone). Percorsi che sono, esistenzialmente, tanto più significativi nel contesto della ragnatela «globale» dei destini individuali e collettivi in cui è possibile, con singolare facilità, smarrirsi nell’intrico delle solitudini del nostro tempo[4]. C’è, tuttavia, un terzo, e fondamentale aspetto, che torna inevitabilmente a porsi come centrale. E’ quello dei «temi ultimi»[5]. E’ in primo luogo, di una vicenda di vita e di morte che si parla. Di quella narrata dai Vangeli e di quella in cui, ineluttabilmente, è immerso ogni essere umano. Rimandando anche per questo ad alcune delle riflessioni sviluppate da e con Sergio Givone, vorrei qui limitarmi ad alcune semplici considerazioni. Per rendere quel che è dovuto, intanto, a Marco Salucci che, inviando il suo contributo, ci ha fornito lo spunto per tornare a meditare su una così decisiva questione. Che va collocata, come viene ricordato, in una dimensione diversa da quelle esplorabili dalla razionalità umana e che niente ha a che vedere con le suggestioni della rappresentazione di Dio (in quanto possibile artefice della Resurrezione finale) come una sorta di «superscienziato».  Le realtà trascendenti, se ci sono, vanno pensate con un metro diverso da quelle della realtà umana. Lo sosteneva, in un certo senso, e da par suo, in un’esemplare compresenza di razionalità «moderna» e di forte tensione mistica, anche il grande Pascal. Che separava nettamente ragioni (e linguaggi) della ragione e ragioni (e intuizioni) del cuore. Viviamo, d’altra parte, immersi in un grande mistero. E ci sono dimensioni rispetto  alle quali il dubbio e l’interrogazione del credente interloquiscono con quelli del non credente[6]. Mantiene intatta la sua validità il monito che invita (fin dalla lezione dei «maestri del sospetto») alla vigilanza nei confronti del carattere alienante che può assumere l’esperienza religiosa (ed il rimando alla dimensione ultramondana come fuga dalla vita). Ma bisogna mettere in guardia anche dall’ottundimento di orizzonti e di sensibilità che può comportare la chiusura dogmatica verso il trascendente. Che cosa esso possa rappresentare è questione, peraltro, di per sé, inattingibile. Hanno avuto, come molti ricordano, un grande peso, nella più aperte, «demitizzanti» e libere riflessioni teologiche, le posizioni che contestano il legame fra una certa tradizione religiosa e l’eredità filosofica di derivazione platonica. Da cui deriverebbero antiche tentazioni di «fuga dal mondo» e concezioni antropologiche fondate sul dualismo corpo-anima.

 L’incolpevole Socrate

Questa ricerca ha una grande importanza, nel richiamare l’attenzione al valore della corporeità e della dimensione dell’impegno (come Balducci avrebbe detto)  nella «polvere della storia». Ma è, mi pare, del tutto aperta la valutazione su quanto siano, fino in fondo, separabili l’ispirazione biblica e le radici ebraiche del cristianesimo dalla fecondazione con una parte almeno del contributo culturale  del pensiero e di alcune grandi lezioni di umanità del «mondo classico» (di cui grande considerazione aveva Simone Weil).  E’ forse legata solo al condizionamento di una certa formazione la suggestione che ancora esercita l’antica immagine dell’incolpevole Socrate che, sereno, attende il compimento del suo destino e che tende a collegarsialla speranza cristiana che non tutto (e non solo in ragione dell’attesa dell’annunciato ed indeterminato giorno della rinascita finale) sia concluso con la morte? Il tema della prospettiva (che  affonda in un mistero per noi non indagabile) di una vita oltre il «limite oscuro» della nostra fine «fine naturale» non deve essere, certo, contrapposto alla valorizzazione piena della dimensione mondana., Anche se non è mai stato semplice per l’uomo, che vive i colori e sente il richiamo potente della vita, fare i conti con il proprio destino mortale. In un certo senso, « (…) siamo tutti già morti, siamo soltanto polvere che si trasforma. Il vuoto ci genera e al vuoto- vuoti- torniamo», come dice seccamente un padre alla giovanissima figlia nell’ultimo, e autobiografico, libro della scrittrice Susanna Tamaro. Una cruda rappresentazione della realtà di fronte rispetto alla quale l’autrice (in una scena che si svolge «di fronte al cartellone di  latta di un bar che mostrava i gelati della mia marca preferita») ricorda di avere provato un’intima ribellione, ricordando come « (…) dalla profondità del mio iceberg salì un pensiero che era come un grido. Io non sono il vuoto! Io voglio vivere! Voglio tuffarmi nuotare! Voglio mangiare tutti, ma proprio tutti, questi gelati!»[7]. Una rappresentazione immediata ed in chiave personale della forza che, nonostante tutto, esercitano l’ «istinto di vita» ed il richiamo alla   «fedeltà alla terra».  Che proprio la pienezza di tale dimensione (esaltata da Bonhoeffer), inevitabilmente e comunque rapportata alla realtà della finitezza umana, possa dischiudersi all’orizzonte della trascendenza è per tutti (credenti e non credenti) oggetto di un’interrogazione, di una scommessa  (e di una speranza?) che hanno a che vedere con il significato di fondo dell’esistenza.



[1] V. in prop. «Un esempio che riavvicinerà gli increduli» (intervista a S. Saccardi, a cura di C. Dino, «Corriere Fiorentino» 12 Febbraio 2013) e Un gesto di denuncia, non di resa: è ora che la Chiesa cambi prospettiva (di S. Saccardi, in: www.stamptoscana.it, 13 Feb. 2013 ).

[2] Non è, d’altra parte, la prima volta che «Testimonianze» sottolinea espressamente il carattere profetico di tematiche di apparente (o reale, ma dirompente) «inattualità», come quelle evidenziate nei volumi dedicati, rispettivamente a Dietrich Bonhoeffer: un pensiero per il futuro («Testimonianze» nn. 433-444) e a Simone Weil testimone mistica della storia («Testimonianze» nn.468-469)

[3] V. in prop. lo specifico  riferimento (cui rimandava anche la riflessione di E. Balducci) all’ «eresia» ed al radicamento popolare della predicazione dell’amiatino «profeta degli ultimi» David Lazzaretti in «Testimonianze» nn. 473-474 (con sezione monotematica, a cura di S. Saccardi, dedicata a Il «Mosaico Italia» a 150 anni dall’ Unità) nell’art. di Lucio Niccolai (David Lazzaretti. Morte di un cristiano in camicia rossa).

[4] V. in prop. «Testimonianze» n. 462 (con la sez. monotematica dedicata a Le solitudini del nostro tempo, a cura di S. Saccardi).

[5] V in prop. «Testimonianze» n. 409 (con sez. monotematica su I temi ultimi nelle culture umane) e «Testimonianze» n. 415  (sez. monotematica dedicata a Sofferenza. Ricerca di senso, solidarietà umana, a cura di L. Niccolai e S. Saccardi).

[6] E’ lo spirito che anima il libro di Margherita Hack e Pierluigi Di Piazza Io credo. Dialogo fra un’atea e un prete  (a cura di M. Chirico, ed. Nuovadimensione, 2012) e che era a fondamento di grandi esperienze come quelle della «Cattedra dei non credenti» voluta dal card. Carlo Maria Martini.

[7] Susanna Tamaro, Ogni angelo è tremendo, ed. Bompiani, Milano 2013, p. 51.

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