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L'incanto di una goccia
Dal n.478-479 di "Testimonianze"

 

(articolo tratto dal n.478-479 di "Testimonianze" dedicato a "Il grande tema dell'Acqua")

 

Sul filo dei ricordi personali e del rimando a suggestioni di carattere antropologico, simbolico-culturale e storico-sociale, una sottolineatura della complessità, dell’ambivalenza e dell’importanza vitale del «tema acqua». Un tema da ripensare in un tempo in cui la soluzione dei problemi di gestione, di costi di fornitura, di valorizzazione e di preservazione della qualità di tale «bene comune» è da combinare con la memoria di una saggezza antica: quando la fatica di andar per pozzi, fonti e sorgenti rendeva istintiva la percezione del valore della risorsa che si andava ad attingere.

 

Di solito così non si fa. Non si inizia (e dunque ne chiedo preventivamente venia) un ragionamento, come questo, di carattere politico e culturale, con l’evocazione di un ricordo personale. Ma sul «tema acqua» mi era difficile fare diversamente. All’acqua (e al suo carattere ambivalente: v. testo di A.Bigalli) è legato quello che è forse il primo ricordo cosciente della mia vita. Che spesso riemerge (per dirlo con un verbo legato, guarda caso, alla dimensione acquatica) in modo subitaneo e vividissimo.

 
Un bimbo piccolissimo e curioso

Un bimbo piccolissimo e curioso delle cose del mondo, nel pietroso e irregolare spiazzo esterno di una grande casa di campagna. Così era l’autore di queste righe che, insieme all’amatissima sorella Marina (che ora non c’è più), si avviava verso un orto curato e rigoglioso. Un orto cui era prospiciente un piccolo stagno. Uno specchio d’acqua dai vivi riverberi. «Aspettami lì» disse fiduciosamente Marina, avviandosi a raccogliere ortaggi. La parte successiva della vicenda è quella che si riaffaccia, a volte, nei sogni o che si staglia nella memoria come in un flash evocativo e rivelatore. Con le immagini della testa di un bambino che va su e giù sul filo della superficie dell’acqua. Su e giù. Finché una mano decisa non ti afferra per i capelli per agganciarti poi saldamente per i vestiti gocciolanti e trarti all’asciutto. Altro, di quella lontanissima e, per me, quasi simbolica, vicenda non saprei rammentare. Se non, vagamente, il caldo confortevole e rassicurante delle coperte in cui verosimilmente fui dopo avvolto.

Un episodio che, però, non mi ha affatto inimicato l’elemento acqua. Anzi. Qualcosa del fascino che invitò allora l’incauto bambino a spingersi, e a cadere, fin dentro i riverberi, attraenti e proibiti, dello stagno deve essere rimasto inscritto nel nocciolo o nel sentire profondo della personalità. Istintiva è rimasta la percezione della suggestione estetica e del valore primario e «creaturale» delle sorgenti e dei fiumi o della delicatezza dell’acqua del mare che ti accarezza, mentre cammini, le caviglie e contribuisce a renderti limpidi i pensieri. Immediata scaturisce (in un impulso, non solo terminologicamente, di carattere «sorgivo») la consapevolezza dell’incanto e del valore storico di luoghi-simbolo come la bellissima Peschiera di Santa Fiora (paese natale di Ernesto Balducci). Da cui, come ha ricostruito Lucio Niccolai, si pensava di procurare addirittura acqua alla lontanissima Firenze.

E’ densa di richiami abbaglianti e suggestivi, nella varietà delle sue forme, la grande dimensione vitale dell’acqua. Come ricorda Lea Marziali che rimanda al luogo ed all’ambito in cui «tutto ebbe principio». Ma è anche, e forse soprattutto, un elemento fondamentale ed imprescindibile della storia materiale e delle conseguenti «teorie dei bisogni» (bisogni, in questo caso, di carattere primario) che hanno contraddistinto il cammino dell’umanità.

Lo si dice, in modo diversificato ed in forme come sempre «plurali», negli interventi che contribuiscono a rendere così vario questo volume: è fonte d’energia, l’acqua (come in forma problematica sottolinea Eulisse) ed è elemento collegato alla dimensione lavoro (come nelle antiche gualchiere), è garanzia primaria di igiene e salute ed è, soprattutto, eterno refrigerio alla sete dei viventi.

 
 «Murare a secco»

Un altro (ed ultimo) rimando personale, improvvisamente se ne esce qui - come in era pre-informatica si sarebbe detto - dalla penna. Chi scrive è grande ed avido consumatore d’acqua. C’è chi pasteggia con pochi liquidi, «murando a secco» come popolarescamente sintetizza il dire toscano. E c’è chi il cibo ha bisogno di inumidirlo molto. Rientro decisamente nella seconda categoria. Ma, ecco il punto di discussione con qualche amico ecologista, prediligendo nettissimamente l’acqua frizzante. Quella delle «bollicine», come la definiscono i bambini.

Un dettaglio che è stato all’origine di non pochi sensi di colpa. Per l’apporto individualmente fornito al consumo (in Italia, come si sa, spropositato) di acqua minerale e per il numero di bottiglie (ahimè) di plastica da acquistare. E da buttare, sia pure, doverosamente, negli appositi contenitori per la raccolta differenziata.

Il senso di sollievo provato quando in casa abbiamo installato, in collegamento con l’acqua del rubinetto (quella che viene, giustamente, raccomandato di consumare) l’apparecchio per la «gassatura» è stato notevole. Lo stesso sollievo manifestatosi quando ai «fontanelli» collocati in luoghi pubblici da non pochi Comuni (Firenze, Piazza Signoria inclusa) sono stati installati anche i rubinetti di acqua frizzante. De gustibus non è bene discettare, come è noto. E non è bene confondere questioni piccole o di dettaglio con i grandi temi qui in discussione. Ma poter unire - sia concesso rilevarlo - il piacere del gusto frizzante all’eliminazione della plastica ed alla riduzione dell’inquinamento e degli sprechi è una piccolissima, ed apprezzabile, combinazione di tolleranza (per chi al «vizio» delle bollicine non vuol rinunciare) e civiltà.

Che, ricondotto ai suoi termini più importanti e generali, il grande tema dell’acqua implichi fondamentali questioni e scelte di civiltà è, peraltro, del tutto evidente.

 
I problemi assoluti

Ha ragione Giorgio Federici, che già altre volte ne ha scritto[1], a porre con forza un problema di fondo: quello dell’acqua come bene finito. Una constatazione che contraddice una radicata convinzione sull’apparente inesauribilità di tale preziosa e vitale risorsa. E che impone delle scelte da compiere in un’ottica di interdipendenza e di etica della responsabilità. Rientra, l’acqua, certamente tra i temi di fondo del «mondo globale». Quelli che, con singolare preveggenza e con una terminologia particolarissima, Ernesto Balducci riconduceva ai «problemi assoluti» che emergono prepotentemente dalla «rete delle interdipendenze» e dall’«imperiosa realtà strutturale»[2] del «mondo globale». L’acqua è, dunque, un grande tema planetario.

Un tema dalla cui enucleazione risalta, con un’evidenza che inquieta, un interrogativo semplice e, insieme, terribile: se l’acqua è finita, anche la vita lo è? Una domanda che impone risposte, davvero, non elusive.

Portare l’acqua, laddove essa manca, è impresa encomiabilissima. Ne scrive in questo volume, a partire da esperienze vissute in prima persona, Giancarlo Ceccanti, che già altre volte ci ha reso presenti intendimenti e realizzazioni che qualificano i progetti di Acquifera[3].

D’altronde, in termini in parte consimili a quelli che in altre e analoghe situazioni si pongono ed in parte legati alle specificità locali e nazionali (v. in merito le riflessioni di E. D’Angelis) la «dimensione acqua» viene anche ricondotta alle, concretissime e controverse, questioni connesse alla proprietà, alla gestione, ai costi di fornitura, alla valorizzazione ed alla preservazione della qualità della risorsa.

Nel nostro paese si è avuto un fondamentale e incontrovertibile passaggio politico. Quello dei referendum dello scorso giugno. Che hanno (ri)portato all’attenzione e al successo un punto di vista - quello già espresso a suo tempo da Alex Langer - sull’importanza di una vera e propria «conversione» nel modo di rapportarsi ai «beni comuni» (P. Del Zanna).

Su quel che ne è derivato e sul modo in cui sarà possibile rapportare, senza svisarlo, il risultato di quel pronunciamento alla soluzione degli aggrovigliati nodi su cui alcuni interventi (in un’ottica, potremmo dire, intelligentemente «divergente») richiamano l’attenzione (v. M.Grassi) la discussione è aperta. E «Testimonianze» ha cercato di fornire in merito un suo contributo, aprendo ancora una volta le sue pagine ad un confronto non condizionato da interdizioni o preclusioni di sorta.

Sarebbe stato, tuttavia, davvero riduttivo parlare di una grande, affascinante e pervasiva dimensione come quella dell’acqua (Acqua, anzi: come abbiamo voluto scrivere, al maiuscolo) senza rimandare alle sue infinite suggestioni, oltreché di ordine storico e sociale, di carattere simbolico-culturale, antropologico, teologico-religioso e letterario. Un ambito da cui, attingendo alle più intime e remote memorie personali, è partita, d’altronde, anche questa breve riflessione.

I riferimenti non potevano, in questo senso, essere che molteplici e tutti altamente significativi. Dal «classico» Petrarca a Luzi a Camus. Dalle fonti del diritto romano e della saggezza ciceroniana, in tempi in cui già si poneva la questione dell’acqua come «bene comune», alle radici sapienziali della cultura orientale. Il mistero del cosmo e della vita, la valenza simbolica cui l’anima umana è fortemente sensibile ed al cui interno le immagini ambivalenti dell’acqua hanno un così gran peso, la storicità ed insieme il rapporto uomo-natura come oggi si pone: sono i temi di fondo che percorrono la nostra sezione monotematica.

E’ la forza dell’acqua che, talora, sembra esserci mortalmente nemica: così fu a Firenze nella storica alluvione del 1966 (v. M. Sbordoni), così è stato, ancora, una volta, nella devastazione che ha colpito la Lunigiana, gli angoli bellissimi delle Cinque Terre e, poi, Genova. Gestione inqualificabile del territorio, trascuratezze politiche ed eccezionalità degli eventi climatici formano, non di rado, una miscela esplosiva. Ci sono territori - come ha detto lo scrittore Maurizio Maggiani - cui è stata assicurata «tutela zero». Sono chiamate in causa le responsabilità della politica.

E’ stata l’acqua, d’altra parte, ad accompagnare il cammino di emancipazione, il miglioramento delle condizioni di vita e l’ingentilimento della condizione umana. Come anche la Mostra di Publiacqua sui cambiamenti del sistema idrico a Firenze in cent’anni di storia puntualmente dimostra. In tempi di apparente abbondanza, è ora di ripensare alla durezza, ma anche alla saggezza connaturate alle lunghe epoche in cui l’andar per pozzi, fonti e sorgenti rendeva istintiva, nella fatica, la percezione del carattere prezioso della risorsa che si andava ad attingere. E che si sapeva di non dover disperdere.

Ci è compagna di viaggio, indispensabile, l’acqua. Lo sa dire in modo ineguagliabile la poesia: «Eri in battisteri e in vasche di cortigiane. / Nei baci e nei sudari./ A scavar pietre, a nutrire arcobaleni. / Nel sudore e nella rugiada di piramidi e lillà. / Quanto è leggero tutto questo in una goccia di / pioggia» (Wislawa Szymborska).

E’ radice, simbolo ed essenza intima della vita, l’acqua. A svelarne la potenza ed il mistero basta a volte l’incanto di una goccia.



[1] Di Giorgio Federici, si veda, ad es., la voce Acqua del Dizionario-Atlante dello sviluppo umano (a c. di Diana De Lorenzi e Severino Saccardi), Quaderno tematico di «Testimonianze» nell’ambito del Progetto «Archivio Sviluppo», Firenze 2003.

[2] V. E. Balducci, La terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Firenze) 1992.

[3] V. G. Ceccanti, Portatori d’acqua, «Testimonianze» n. 465-466. Sull’attività di Acquifera v. anche il sito: www.acquifera.org

 

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