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L'impegno per la liberta' di informazione nei "punti caldi" del pianeta
(Testimonianze n.441/2005)

Un messaggio di sostanza

Il tema di questo convegno, Reporters di guerra testimoni di pace, è reso di drammatica attualità da tante vicende come viene confermato da un messaggio non formale che ci ha inviato l’onorevole Vannino Chiti, coordinatore nazionale della segreteria dei Ds. Si tratta di un messaggio di sostanza che ci aiuta a entrare nel cuore degli argomenti di cui dobbiamo discutere. Scrive: "Caro Severino ti ringrazio dell’invito a partecipare al convegno. Mi dispiace doverti comunicare che mi è impossibile a causa di impegni presi e non rinviabili ma ti prego di considerarmi dei vostri. Ci tengo a farti avere il mio convinto sostegno. È giusto il tema affrontato, fin dal titolo. Chi scrive la verità delle guerre diviene anche in modo oggettivo un operatore di pace. Grazie al lavoro svolto dai reporters siamo in grado di sapere cosa succede nei paesi sconvolti dai conflitti. Purtroppo alcune volte pagano con la vita il diritto di tutti all’informazione. È poi di estrema attualità il tentativo portato avanti di recente anche nei paesi democratici, per condizionare ed eliminare il più possibile le notizie dirette dai fronti di guerra sostituendole con quelle fornite dai responsabili militari.

Nell’augurare pieno successo all’iniziativa invio a te e a tutti i presenti i miei saluti più cordiali, con amicizia, Vannino Chiti".

Questo messaggio ci aiuta a delineare il tema che poi gli amici che sono con noi svilupperanno ognuno secondo la propria esperienza e sensibilità.

Una figura controcorrente

Una figura quella del reporter di guerra che tante volte è stata rivestita di un alone romantico. In realtà chi ha fatto il corrispondente di guerra si è sempre trovato di fronte, come avrebbe detto Freud, allo scatenamento di Thanatos, cioè dell’istinto di morte nei suoi aspetti più brutali. Dell’esperienza diretta del cronista di guerra, Mimmo Candito ha scritto in un suo libro recente, in cui racconta (come in precedenza in un interessante articolo su "La Stampa" di uno dei primi reporters di guerra dell’Ottocento, durante la guerra di Crimea, quella a cui parteciparono anche i nostri bersaglieri nel 1856. Un corrispondente inglese che raccontò la verità su di una battaglia in cui venne sterminato un battaglione inglese. Un episodio rivestito di un alone eroico e di retorica di cui racconta, invece, gli orrori e gli errori militari, l’imprevidenza, la ferocia. Non erano i tempi della comunicazione globale. Per arrivare a Londra l’articolo ci mise 20 giorni, un tempo rapido per l’epoca. Il cronista perse il lavoro per lesa maestà e per mancanza di spirito patriottico, ma ha reso un gran servizio all’informazione libera aprendo la strada a tanti reporters di guerra. Ci sono stati corrispondenti di guerra leggendari come Hemingway, durante la guerra civile di Spagna, Orwell che anche se non come cronista di guerra ha testimoniato della brutalità di quegli eventi con Omaggio alla Catalogna. Sono tutti rimandi storici che ci riportano al cuore del problema: la libertà e la verità spesso vanno testimoniate controcorrente nelle guerre e in molti episodi di violenza.

Indro Montanelli, grande giornalista di destra, nel 1956, quando ci fu la rivoluzione ungherese, fu l’unico (o uno dei pochi nostri giornalisti) che scrisse la verità. Quando a tutti, sugli opposti fronti, faceva comodo dire che gli insorti di Budapest erano fascisti o borghesi nazionalisti, Montanelli scrisse, più o meno: "mi piacerebbe raccontare che ci sono i borghesi sulle piazze di Budapest, ma sulle barricate ci sono i proletari, i comunisti, i socialisti, che non vogliono i russi, ma perseguono l’obiettivo di un socialismo più umano".

Oriana Fallaci, che ora è famosa per il suo anti-islamismo furioso e schematico, nel 1968, come grande giornalista democratica e di sinistra, fu una testimone privilegiata e coraggiosa del massacro della Piazza delle tre culture a Città del Messico, quando la polizia fece una strage gli studenti. Un reportage esemplare. Oggi, la prosa di Oriana Fallaci, più che mai pungente e aggressiva, è di tutt’altro tenore. D’altra parte la vita fa di questi scherzi non solo sul fronte del giornalismo; i cambiamenti successivi non tolgono, comunque, niente al valore di una storica testimonianza.

Il fronte dell’informazione è sempre stato importante, pensiamo all’epoca drammatica del Vietnam. Gli Stati Uniti hanno perso la guerra del Vietnam anche sul fronte dell’informazione. Una grande pensatrice come Hannah Arendt ha riflettuto su questo aspetto quando ha parlato dei Pentagon Papers in una raccolta di testi che da noi, in Italia, se non vado errato, dovrebbe essere stati pubblicati sotto il titolo di Potere e menzogna.

Poteri politici, comandi militari, informazione libera

Quindi esiste una lunga tradizione che ci porta alle riflessioni di oggi. Un tema che si presenta con i connotati classici ma anche con aspetti nuovi. Oggi il ricatto rispetto all’informazione libera è ancora più forte. I poteri politici e i comandi militari, in un tempo in cui ogni minuto ci sembra di sapere, in "tempo reale", quello che avviene nel mondo, non vogliono un’informazione libera, vogliono un’informazione il più possibile ufficiale. Un’informazione che dona l’apparenza di sapere tutto quando, invece, non si sa niente sulla realtà cruda della guerra. Come abbiamo visto in una singolare e grottesca logica combinata e convergente di interessi, questo ovviamente non lo vogliono nemmeno i terroristi. I giornalisti rapiti in Iraq, gli ostaggi, la vicenda drammatica della nostra amica Giuliana Sgrena che è, suo malgrado, diventata un simbolo della drammaticità della condizione del reporter di guerra, riassumono le contraddizioni di cui parliamo oggi. Contrastare la guerra e contrastare il terrorismo è anche combattere la dura battaglia della libertà. Delle molte volgarità che sono state dette in questi ultimi tempi, quella che risalta di più è la distorsione dell’esperienza umana, professionale e politica di Giuliana. Quando si sospetta che lei abbia avuto una sorta di connivenza con i suoi sequestratori è evidente che non siconosce Giuliana. Giuliana Sgrena è una persona che ha sempre denunciato, non solo con nettezza gli orrori della guerra preventiva, ma anche e prima ancora la barbarie del terrorismo fondamentalista, fin dall’inizio, fin dai primordi del dramma algerino. Questa è Giuliana.

Il servizio all’informazione libera ha anche i suoi caduti. Molti caduti. Antonio Russo è uno di loro. Giornalista di Radio Radicale, reporter di guerra, ucciso in Georgia il 16 ottobre del 2000, il cui corpo martoriato è stato trovato sul ciglio della strada a 25 km da Tiblisi poco prima che rientrasse in Italia per portare testimonianze e importanti documenti sull'atrocità della guerra in Cecenia. Un testimone di pace e di verità. La Cecenia è una delle vergogne della realtà contemporanea, conflitto taciuto e dimenticato. In Cecenia è stato fatto un deserto e non possiamo nemmeno chiamarlo pace perché pace non c’è. Certamente esistono il fondamentalismo islamista ed il terrorismo ed è vero che la seconda fase della guerra è diversa dalla prima, ma questo niente giustifica della conduzione sporca e criminale di questa guerra. Rendiamo omaggio e dedichiamo queste riflessioni a Antonio Russo, reporter di guerra e testimone di pace. Ricordiamo gli aspetti umani di Antonio Russo e la sua qualità etica che i reporters di guerra tante volte devono avere: stare dalla parte delle vittime contro la falsa neutralità.

* La sezione monotematica ripropone gli interventi al Convegno Reporters di guerra Testimoni di pace tenutosi a Santa Fiora il 24 aprile 2005. Alla redazione dei testi hanno contribuito Leonardo Ferri e Mary Malucchi. I testi non sono stati rivisti dagli autori.

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