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"Se vuoi la pace prepara la pace", anno 2012
Dal n.481-482 di "Testimonianze"
La scomparsa di Ernesto Balducci si colloca, all’interno di un anno emblematico come il 1992, in uno snodo tale da consentire di vedere l’eclissarsi di un tempo e di un mondo e di intuire le contraddizioni e le cupe nubi del «nuovo» che si andava predisponendo. Il suo percorso, connotato anche dalle idealità, dalla temperie culturale e dalle contraddizioni del Novecento,ha portato però all’elaborazione di un pensiero originalmente orientato ad anticipare i temi del «terzo millennio». Nei convegni degli anni 80 i temi della «cultura planetaria», del disarmo, del Nord-Sud e dei diritti umani furono affrontati nell’ottica di un confronto «plurale» come quello che intende riproporre il prossimo incontro di «Testimonianze» intitolato, come quelli di un tempo, Se vuoi la pace prepara la pace.
 
Quelle immagini di venti anni fa
C’è, nella memoria che si ravviva, l’elemento primario e fondamentale della riemersione emozionale di quei fatti e di quelle immagini di venti anni fa. La notizia a chi scrive fu data telefonicamente da Elisabetta Mughini, delle Edizioni cultura della pace. Ernesto Balducci aveva avuto un grave incidente sulle strade della Romagna. Il caso voleva che, reduce da una visita a persone a me care, dalla Romagna fossi appena tornato. Ripartimmo, quasi subito, per recarci presso l’ospedale di Cesena dove Balducci lottava fra la vita e la morte. E a Cesena (dove poi sarebbe sorto un vivacissimo Centro a lui dedicato, della cui esperienza viene dato conto nella sezione «Percorsi») la sua vicenda terrena si sarebbe conclusa il 25 Aprile 1992. È la memoria di un drammatico passaggio che, nell’intimo, si congiunge al congedo definitivo che abbiamo dovuto prendere anche da altre persone, da altri amici che a quella vicenda erano in vario modo legati. A partire da Beppina, la sorella di padre Balducci, con la quale in tante occasioni abbiamo avuto modo di ricordarlo e che ormai da alcuni anni ci ha lasciato. E prima di Balducci già se ne era andato, in quello stesso 1992, David Turoldo il prete poeta dalle radici contadine e dalla parola ardente (di cui, nella sezione «Archivio» ripubblichiamo l’incalzante Salmodia contro le armi; dopo di lui, in anni più recenti, Luciano Martini (che di «Testimonianze» era stato direttore e che era stato curatore di quel bel libro-intervista, Il cerchio che si chiude (1), che di Ernesto Balducci rappresenta la vera autobiografia) e Michele Ranchetti, scrittore, poeta e storico della Chiesa di grande umanità e cultura. I testi da loro firmati che ripresentiamo in «Archivio» vogliono essere anche un modo per proporne un grato e partecipe ricordo. In «Archivio» ripubblichiamo anche alcuni testi dello stesso Ernesto Balducci. Un’occasione per evocare suggestioni, temi di fondo e motivi legati al suo percorso, alla sua elaborazione culturale ed al suo pensiero. Un modo per sollecitarne e suggerirne (anche contro la rimozione che alcuni interventi, come quelli di Bianchi e di Bigalli, accoratamente denunciano) una più ampia diffusione ed una conoscenza che, soprattutto nelle generazioni più recenti, non per loro colpa, è scarsa o addirittura assente. Anche se, in questa direzione, rappresentano un segnale incoraggiante i «pensieri» e le riflessioni di alcuni studenti di un Istituto superiore (quello di Pontassieve) che al nome di Balducci fu intitolato non molto tempo dopo la sua scomparsa. Scopo di questo volume (che non vuol certo essere semplicemente un passaggio in qualche modo «obbligato» in occasione di questo «anno balducciano» e che viene pubblicato dopo gli altri che al suo fondatore, da «Testimonianze» in questi anni già sono stati dedicati), d’altra parte, è non solo e non tanto quello (doveroso) di rievocarne e di ripercorrerne la memoria, ma anche quello di iniziare a proporre, sulla sua opera e sulla sua elaborazione culturale, riflessioni e contributi utili ad impostarne un bilancio critico.
 
 
Ai piedi della Badia Fiesolana
 Il titolo prescelto (Sul crinale della storia – A confronto con Ernesto Balducci 20 anni dopo) è proprio a questo che vuole alludere e rimandare. Chi era, dunque, Ernesto Balducci? I contributi tra «memoria e futuro» di tanti amici, di varia collocazione e sensibilità, che arricchiscono questo volume speciale contribuiscono, in modo diversificato, ad abbozzare tentativi di risposta. D’altra parte (come rileva Michele Brancale) ci sono ormai studi ed è in corso una raccolta ed una sistemazione della documentazione relativa alla sua figura ed al suo percorso (in questo, è di sicura importanza il lavoro che ha svolto e che va svolgendo la Fondazione «Balducci») che consentono di vedere con maggiore precisione e profondità elementi della sua maturazione e del definirsi di un’identità in ambito religioso, politico-civile e culturale. E sono da tenere presenti, con il dovuto discernimento critico, i ricordi, le testimonianze ed i punti di vista di chi Balducci l’ha conosciuto da vicino. Come, soprattutto negli ultimi 12-13 anni della sua vita, è occorso a chi scrive. Come già ho avuto modo di raccontare (2), Balducci e altri importanti amici dell’ambiente di «Testimonianze» avevo avuto la sorte e la fortuna di conoscerli già negli anni settanta. Ma il mio personale ingresso in redazione è avvenuto sul limitare dell’anno 1980. Quando «Testimonianze» lasciò la storica sede di via Capponi (che pure avevo avuto occasione di frequentare, incontrandovi anche importanti «compagni di viaggio» dell’avventura balducciana, come Gian Paolo Meucci e Mario Gozzini) per insediarsi in via dei Roccettini, in una colonica risistemata, ai piedi della collina e a confronto con la suggestiva visione della Badia Fiesolana. All’immagine di quelle stanze, (non prive di umidità per la vicinanza del fiume che a due passi vi scorreva) sono associati ricordi che, in gran numero, si affollano alla mente. Gli stessi a cui (nella ricostruzione della sua curiosa ed attenta, seppur saltuaria, frequentazione di quell’ambiente) fa riferimento Stefano Fusi. Sono gli anni del dibattito e dei convegni per la pace, del confronto incalzante su Nord-Sud, dei diritti umani, dell’impegno per il superamento dei blocchi contrapposti e dell’«ordine di Yalta». Altri, nel nostro volume, a partire da Lodovico Grassi e da Enzo Bianchi (nel suo approfondito intervento), parlano del «Balducci religioso», della sua fede, della sua ispirazione mistica. Sia pure di una mistica «intramondana» (come, con intonazione «weberiana» giustamente suggerisce Ragionieri). È giusto: senza il rimando al cardine del riferimento alla fede cristiana e del suo attaccamento all’«asse evangelico», l’intera esperienza di Balducci appare monca o incomprensibile. Così come apparirebbe incomprensibile quella di La Pira. Ma è anche vero che l’impronta e l’ispirazione religiosa di Balducci si esprimono con un piglio e con timbro affatto particolari. Forse non è impropria per lui la definizione (richiamata anche in questo volume) di «ribelle cristiano». Come che sia, per chi scrive, come per molti che l’hanno frequentato negli anni della sua «svolta antropologica», non era specificamente questo il terreno di convergenza, di confronto o di impegno comune che veniva a risaltare. Per quel che mi riguarda, posso anche dire che l’importante vicenda che ho avuto la sorte di condividere in quegli anni potrebbe apparire, se rivista oggi, per più di un aspetto singolare e contraddittoria. Ero mosso ad avvicinarmi a «Testimonianze» ed a Balducci da un’istanza di carattere esistenziale e spirituale (e – perché no? – in senso lato, religiosa). A spingermi era l’insoddisfazione per la povertà antropologica (soprattutto in relazione ai temi esistenziali ed «ultimi» della vita umana ed al rapporto individuo-collettivo) dell’impostazione marxista che, segnando il distacco dalla formazione religiosa del mio ambiente di provenienza, aveva connotato gli anni del mio giovanile impegno politico e sociale. A procurarmi il contatto con «Testimonianze», attraverso la conoscenza e l’incontro con Lodovico Grassi, era stato don Auro Giubbolini (3). Vi ho trovato, in realtà, e qui sta l’apparente contraddittorietà della vicenda (a conferma che la vita è, come sempre, imprevedibile), una spinta ad una crescente valorizzazione e ad una più piena assunzione della dimensione politica. In una concezione, beninteso, «alta» e fortemente connotata dalla spinta e dalle sottostanti motivazioni di tipo «etico», della politica. Un terreno che anche personalmente (pur non mancando di continuare a coltivare un’intima ed accentuata attenzione alle tematiche esistenziali, con cui almeno in qualche particolare occasione ho potuto avere momenti di approfondito, e per me toccante, confronto con lo stesso Balducci) non avevo mai smesso di coltivare e di sentire come congeniale. E che si esprimerà, per quel che riguarda l’insieme del gruppo di «Testimonianze», nella stagione coinvolgente dei convegni Se vuoi la pace prepara la pace.
 
 
Vicende ancora da raccontare
Rimango personalmente convinto che (al di là degli atti degli incontri e della memoria che in molti possiamo averne) che molti aspetti di quel percorso e del dibattito che, attorno ai convegni, si venne in quegli anni dipanando siano ancora da ricostruire e da raccontare. Quello fu, d’altra parte, un cammino che fu intrapreso come una sfida e un’avventura. Gli aneddoti che riaffiorano alla mente aiutano a renderne la portata e l’elemento di esposizione e di rischio che vi erano insiti. Come non ricordare quella volta che (mentre fervevano i concitati lavori per la preparazione del primo Convegno) Balducci raccontò, forse scaramanticamente, un suo sogno. «Non ricordo quasi mai i sogni», fu la premessa. E proseguì, con immagini poco tranquillizzanti. «Parlavo di fronte alla grande sala rossa del Palazzo dei Congressi. Vuota». Il sogno, ahimè, era ben chiaro. Ma, come fu ben presto evidente, non si trattava evidentemente di una premonizione. Al Palazzo dei Congressi, Balducci avrebbe parlato di fronte ad una sala gremita fino all’inverosimile, con le persone che si accalcavano fin nei grandi corridoi e negli spazi esterni all’edificio. Così fu, sostanzialmente, con andamenti un po’ oscillanti, per tutta la durata dei convegni Se vuoi la pace prepara la pace. Li chiamavamo, a volte, scherzando fra noi, «i giorni dell’onnipotenza». Fu, credo, una stagione importante e non priva di rimandi su cui sarebbe importante tornare oggi a riflettere. Ci sono autori (come Simone Siliani e Flavio Lotti) che ne parlano, in questo volume. Erano, certamente, un altro tempo e, storicamente parlando, un altro mondo. Si parlava di disarmo, dei missili Pershing, Cruise e SS20, ma anche del superamento dei Blocchi e della rimessa in discussione della «logica di Yalta». Si intrecciavano considerazioni sulla contrapposizione Est-Ovest (allora segnata emblematicamente dal Muro di Berlino e dalla demarcazione del fiume Elba) e sulla contraddizione Nord-Sud (quella che si regge, come Balducci dirà, riflettendo sul dopo-Muro di Berlino, sulla persistenza del «muro maestro» della divisione fra paesi affluenti e paesi in perenne «via di sviluppo»). Tante erano le presenze, tanti gli incontri. Un frequentatore dei convegni di «Testimonianze» era Tom Benettollo (4), con cui sull’auspicio di un possibile superamento (allora, apparentemente inverosimile) dell’«era di Yalta», evidenti e immediate erano le consonanze. Tom sarebbe, poi, diventato un grande presidente dell’Arci. E troppo presto ci avrebbe lasciato. Insieme, lanciammo l’idea (poi concretizzatasi nella costituzione dell’associazione Uomo planetario, per iniziativa congiunta di «Testimonianze», Cgil Toscana, Arci Toscana e dell’associazione santafiorese «Consultacultura») della valorizzazione di S. Fiora, paese natale di Ernesto Balducci, come luogo-simbolo della cultura della pace, dei diritti e della nonviolenza. Tanti, d’altra parte, sono stati in quegli anni gli uomini e le donne «di nome» e le persone semplici e non conosciute, i tanti cittadini, membri di associazioni, di gruppi, di movimenti, di realtà culturali che in quella sede ed a quei dibattiti si sono affacciati. Lunghi sarebbero, in merito, gli elenchi da stilare e affollata la galleria mentale dei ricordi da passare in rassegna e da custodire. Ma non si tratta, naturalmente, di fare dell’amarcord. Si tratta, se mai, come già rilevato, di ricostruire più compiutamente gli aspetti politici e culturali ed il dibattito che hanno connotato quella vicenda e di attualizzarne il significato. Quel che è certo, come fu da subito evidente, è che non si trattò di «pacifismo generico». E non solo perché lo stesso Balducci amava, per se stesso, come a più riprese è stato ricordato, la definizione di «uomo di pace» assai più di quella di «pacifista». Ma è anche, e soprattutto, perché era intendimento comune quello di non rimuovere (e anzi di promuovere in merito la riflessione e l’approfondimento) le contraddizioni, le aporie e le antinomie con cui la concreta attivazione dei percorsi e delle prospettive di pace è storicamente destinata a confrontarsi. Sicurezza, diritti umani (tema rispetto al quale opposte erano le rappresentazioni, nei due principali fronti ideologici allora in campo), pacifismo e movimenti indipendenti dell’Est europeo, concezione e prospettive dell’Europa, valutazione della glasnost e della perestrojka di Gorbaciov (quando sarebbero venute ad occupare il proscenio degli accadimenti storici). Su tutto un ampio, e controverso, ventaglio di problemi relativi agli assetti (allora apparentemente congelati) del mondo ed alle questioni internazionali, la preoccupazione non fu certo quella di recitare il «mantra» di una rassicurante, autoconsolatoria e già definita visione delle cose. Fu, al contrario, quello di configurare e mettere a disposizione la tribuna dei convegni (quella della serie Se vuoi la pace prepara la pace, prima e, poi, quella dei Colloqui europei) come terreno di confronto ampio e «plurale» (v. in merito il contributo di V. Spini). Animatissimi e davvero non formali, aperti com’erano alla vivace proposizione di differenti punti di vista (e di piattaforme diverse), i dibattiti preparatori (che si protraevano per settimane e mesi) di ognuno di quegli impegnativi appuntamenti. La voce stessa di Balducci, ovviamente autorevolissima ed ascoltata, non dava espressione ad altro che ad uno dei punti di vista che sarebbero andati a comporre il «mosaico» di un progetto comune. Immagini, e ricordi, di un tempo che è stato e che sfuma alla distanza.
 
 
Cupe nubi sul tempo «nuovo»
Ma di quell’idea e di quella suggestione (Se vuoi la pace prepara la pace), oggi cosa resta? E cosa può essere ripensato o riproposto? Apparentemente, non molto. In un tempo in cui alla cultura dei diritti umani si rende formalmente, e quasi universalmente, omaggio, non si può non realizzare quanto il cammino verso un loro reale adempimento sia verosimilmente ancora di lunga lena (5). D’altra parte, le «neogandhiane» rivoluzioni «di velluto» dell’Europa centro-orientale ed il passaggio epocale del 1989, al di là delle più immediate speranze, hanno dischiuso tutt’altro, che una lineare epoca di convivenza e di pace. Prima di andarsene, fece in tempo, Ernesto Balducci, a vedere l’eclissarsi di un tempo e di un mondo e ad intuire le contraddizioni, segnate dall’addensarsi di cupe nubi, del «nuovo» che si andava predisponendo. Basta pensare al segno controverso, e sfaccettato, di quell’anno-simbolo (il 1992) in cui egli ha preso drammaticamente congedo dal mondo. È un anno da ripensare, il 1992. In Italia, è l’anno di «tangentopoli» e dello scoperchiamento di un perverso intreccio affari-politica che, da lì a poco, avrebbe portato, al crollo del sistema dei partiti della cosiddetta «prima Repubblica». In Europa, è in quell’anno che vengono violentemente al pettine, su una faglia politico-culturale particolarmente delicata e sensibile, alcune delle convulsioni e delle scosse di assestamento del «dopo Yalta» (6), con l’avvio della guerra nella (allora) Jugoslavia. Quel che in Cecoslovacchia sarebbe avvenuto per via pacifica (con la suddivisione in due nuovi stati: Repubblica ceca e Repubblica slovacca), avrebbe lì dovuto scontare anni di drammatico conflitto, la distruzione di città (vero e proprio «urbicidio») e bellezze artistiche, la vergogna della «pulizia etnica» ed il dramma delle fosse comuni. Tragiche conseguenze, tutte, dell’«imprenditoria politica» della paura dello sfruttamento politico della diversità e delle contrapposizioni etniche. Il 1992 era, d’altra parte, di per sé, una ricorrenza significativa. Quella del cinquecentesimo anniversario del viaggio di Colombo e della scoperta dell’ America. Una ricorrenza a cui Ernesto Balducci avrebbe dedicato, con vigore, passione e rigore intellettuale, gli ultimissimi mesi della sua vita. Forte era la motivazione che lo muoveva. Quella di una ricostruzione storica che voleva essere anche denuncia e analisi critica di quel che quell’evento aveva portato con sé. Perché, questo il suo incalzante argomentare, quel «passaggio d’epoca» aveva la forza certamente di un atto fondativo. È da lì, infatti, che sarebbe davvero scaturita la modernità così come l’abbiamo conosciuta. Ma la modernità nasceva, contraddittoriamente, con una «scoperta» che allargava gli orizzonti del mondo e ridefiniva i rapporti fra le genti, che era però anche un atto di «conquista». Identità diverse fra loro (quella dei bianchi europei e quella degli indios) erano poste, allora, a confronto. Ma l’asimmetria profonda su cui il confronto (e l’incontro mancato fra porzioni di umanità che si sarebbero andati reciprocamente definendo nei ruoli di conquistatori e conquistati) si sarebbe giocato, da allora in poi, avrebbe impresso il segno della cultura della dominazione sulla storia dei secoli successivi e sul rapporto della civiltà europea ed occidentale con il resto del mondo. Della storia di quella conquista, questo il monito balducciano, ci viene chiesto oggi conto. Che Montezuma scopre l’Europa (7) sia stato l’ultimo libro da lui scritto è, naturalmente, una coincidenza; ma è una di quelle coincidenze che fanno riflettere per la suggestione della loro forza evocativa. È un piccolo testo che molto dice, in ogni caso, dell’ultimo Balducci. Della forza della sua critica ad una visione eurocentrica delle relazioni umane e della sua vis polemica nei confronti delle responsabilità storiche dell’Occidente. Il che non vuole affatto dire che le sue fossero posizioni unilateralmente e schematicamente «antioccidentali» come talvolta vengono semplicisticamente recepite e sommariamente rappresentate.
 
 
Un «Giano bifronte»
Tutt’altro. Soccorre, in questo senso, la lettura di uno dei suoi libri tra più citati (anche se, forse non sempre adeguatamente interpretato) degli ultimi anni: La Terra del tramonto (8). Il libro, nell’epigrafe iniziale, è dedicato ad «Atahualpa, ultimo re degli Incas e ai 70 milioni di indios immolati dall’”uomo moderno” nel quinto centenario della loro sventura». Una dedica che non ha bisogno di commenti. Nondimeno non manca nel testo la consapevolezza che, culturalmente parlando, il tramonto è una dimensione che ha riverberi di fuoco. L’auspicata alba di un tempo nuovo non potrà non recarne il ricordo e la traccia. È, d’altra parte, nella natura storica dell’Occidente quella di essersi posto storicamente come un «Giano bifronte». Condannato alla coazione a riproporre, sui più vari scenari del mondo, un canovaccio improntato alle logiche della cultura della prevaricazione e del dominio. Ma capace anche di elaborare quella cultura dei diritti umani che mette al centro la libertà e la dignità della persona. Una malattia ed il suo antidoto che sembrano convivere all’interno della stessa dimensione. D’altra parte, molte volte su questi punti le discussioni con Balducci, come posso testimoniare, si animavano. E diversi erano le accentuazioni ed i punti di vista sulla possibilità di conciliare universalità dei diritti umani e relatività della cultura. Era, anche questo, un tratto della lezione (una lezione di vita vissuta) che dal fondatore di «Testimonianze» abbiamo ricevuto e che, in questi anni, ci siamo impegnati a preservare: la sperimentazione di uno spazio, e di una consuetudine, legati alla libertà delle opinioni e ad un costante «esercizio di pluralismo». Che è questione non di metodo, ma di sostanza. Come che sia, venti anni di questi tempi sono una misura assai ampia per percepire la distanza che ci separa da quelle discussioni, almeno per come allora erano impostate, e dal tempo in cui le posizioni di fondo dello stesso Balducci erano andate maturando. Hanno ragione quelli che, in modo assai diversificato (come Revelli, Giuntini, Vettori, Goldkorn…) fanno rilevare con forza quanto il mondo sia nel frattempo cambiato. Ernesto Balducci ha fatto a tempo a vedere il chiudersi di una storia e l’avvio di una fase affatto diversa del cammino umano. Riprenderne automaticamente le impostazioni (cosa peraltro cui nessuno di quelli tra noi che gli sono stati più vicino avrebbe pensato, nemmeno allora, di fare) sarebbe anacronistico. Eppure, sono tanti i punti e tanti gli elementi per cui, a distanza di tempo, il suo messaggio ci raggiunge ancora e ci interpella da vicino. Sono stati, d’altra parte,«ambivalenti» il pensiero e il percorso di Balducci medesimo. Che è stato pensatore ed anticipatore delle tematiche del «terzo millennio» ed è stato, però, anche ed ovviamente in pieno «uomo del Novecento». E del clima del Novecento ha registrato, e fatto proprie, idealità, aspirazioni culturali ed ideali, incertezze, illusioni e contraddizioni. Ha visibilmente condiviso, con molta parte della «sinistra cattolica», l’investimento politico-culturale nel marxismo e la sostanziale fiducia in una «riformabilità» del comunismo di cui le repliche della storia (con il passaggio dell’Ottantanove e il crollo dei muri europei) si sarebbero incaricate drasticamente di rivelare l’infondatezza (9). Erano elementi che convivevano, peraltro, e si fondevano con una visiona «alta» dell’impegno civile e della fecondità del rapporto fra ricerca culturale (e dibattito delle idee) e dimensione politica. Era questo, d’altra parte, il clima, che connotava la grande stagione di Firenze (di cui parlano Zolo, Zani, Sbordoni …) che si espresse non solo nel variegato e creativo «mondo cattolico» di allora, ma anche negli ambienti della cultura marxista e di quella laico-riformista della città. È un tempo di cui non si tratta certamente di rilanciare una visione nostalgica o retoricamente celebrativa, ma di saperne rileggere e riproporre, in un mondo così profondamente mutato, valori e intuizioni di fondo che possano farci ancora da riferimento nella costruzione di una nuova cultura della convivenza. Fu sul tema della cultura della città che Balducci scrisse il suo ultimo articolo per «Testimonianze» (10). E sulle scottanti questioni delle relazioni fra diversi soggetti della nuova «città plurale», qualche tempo prima, si era esposto con un intervento veemente, quando nella zona del mercato di S. Lorenzo (11) si erano verificati episodi di intolleranza contro gli «extracomunitari», preludio della complessità dei tempi avvenire. In tempi a noi prossimi, in quella piazza contro gli immigrati «di colore» si è sparato e, nel parcheggio di quel Mercato, l’omicida Casseri (dopo i sanguinosi fatti di piazza Dalmazia in cui sono stati uccisi, senza motivo, i senegalesi Samb e Diop) si è tolto la vita. Firenze sembra aver rimosso quei fatti. Ma rimane una città disorientata e ferita. Un caso di «isolata follia»? Difficile sostenerlo. I fatti di Firenze vengono pochi mesi dopo la mattanza norvegese dello scorso luglio e dopo l’uccisione (che è cosa recente) di innocenti presso la Sinagoga di Tolosa. Prendono un volto nuovo, tragico e inquietante le misconosciute e sotterranee patologie del nostro tempo (12). E l’antidoto non è, verosimilmente, a portata di mano.
 
 
Quanto sono permeabili le frontiere umane
Di tutto questo bisogna tornare a ragionare. C’è non solo da esecrare, ma da lavorare in positivo per capire e per produrre atti politici conseguenti e miranti a forgiare e a rendere solida la cultura della convivenza, della «coabitazione» e della condivisione fra diversi. È con questo spirito che, nella parte conclusiva di questo «anno balducciano» la nostra rivista riproporrà lo «storico» titolo Se vuoi la pace prepara la pace per un convegno che si terrà a Firenze il 23 e 24 novembre 2012. Un incontro promosso insieme a Regione Toscana, Provincia di Firenze, Comune di Firenze e con gli Enti locali per la pace ed a cui aderiranno la Fondazione «Balducci» e l’associazione «Uomo planetario». Vi si parlerà di memoria (della guerra della ex Jugoslavia a 20 anni dal suo inizio), di attualità (le rivoluzioni mediterranee), di futuro (la sfida delle città (13) e le «nuove cittadinanze» negli anni duemila). L’incontro sarà dedicato ad Ernesto Balducci e cadrà, con la sfasatura di alcuni mesi, quasi nel trentennale del primo Convegno di «Testimonianze» degli anni 80. L’intenzione non è quella di fare commemorazione, ma di promuovere dibattito e ricerca, Come ci è stato insegnato. Nel disorientamento, nell’incertezza e, talvolta, nel buio del nostro tempo, non mancano prospettive nuove e promettenti su cui lavorare: le istanze di giustizia e di libertà (simbolicamente spesso divise e contrapposte nel tempo in cui Balducci ha operato) sono talora ancor più separate e distanti di prima, ma non ci sono più ostacoli o pregiudizi ideologici che si frappongano ad un fertile e creativo lavoro per una loro riunificazione ed una loro, congiunta, attuazione. La politica dei nostri tempi, supponente ed autoreferenziale, quanto impotente, ha bisogno di trovare nuovi orizzonti. Nel tempo dell’indebolimento degli stati nazionali, della crisi e della finanziarizzazione dell’economia, c’è bisogno di concentrare il lavoro, in costante combinazione, nel «locale» e nel «globale». Erano intuizioni che, nell’elaborazione balducciana, erano state anzitempo sottolineate. C’è bisogno di farle penetrare fra i giovani, cui sono naturalmente affidati i destini incerti del pianeta. L’auspicio è che al nostro incontro di novembre (così com’era negli ormai lontani anni 80) ce ne siano molti. Sono «i giovani» quelli che «sentono facilmente la relatività di quel che noi consideriamo assoluto perché essi confrontano le esperienze del pianeta con l’eredità domestica» (14) e sanno «quanto sono permeabili le frontiere umane» in un tempo in cui viviamo tutti in un’unica comunità di destino.
 
 
 
 
 
1 E. Balducci, Il cerchio che si chiude (intervista autobiografica a cura di L. Martini), Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2000.
2 In proposito, v. in particolare i «Quaderni del cinquantennale» (n. 1, n.2 e n.3) di «Testimonianze»: Un uomo di pace. Lodovico Grassi fondatore di «Testimonianze» (a c. di M. Bassetti e S. Saccardi); Ascoltare il respiro del mondo. Il lungo rapporto di Ernesto Balducci con «Testimonianze» (a c. di M. Bassetti); Una vita per la cultura del dialogo. In ricordo di Luciano Martini Direttore di «Testimonianze» (a c. di M. Bassetti e S. Saccardi).
3 Notizie sulla personalità e sulla vicenda di don Auro Giubbolini (scomparso nel 1977), già compagno di seminario di Don Milani ed animatore di un piccolo doposcuola, idealmente ispirato al modello «barbianese», nella minuscola frazione di Borgatello, presso Colle Val d’Elsa (SI), si trovano nel volume di F. Corsi, P. Peli e S. Santini, L’Utopia della base. Storia di un Collettivo operaio nella Toscana degli anni sessanta e settanta (ed. Il Punto Rosso, Milano 2011). Alle posizioni del Collettivo operaio di Colle Val d’Elsa (v. anche la recensione di P. Bucciarelli al libro L’Utopia della base in «Testimonianze» n. 480) don Auro era culturalmente e politicamente molto vicino, coltivando, per suo conto, importanti relazioni con le Comunità cristiane di base, con personalità come Alex Langer ed Ernesto Balducci e con esperienze come quelle della Comunità dell’Isolotto e di «Testimonianze».
4 V. Ricordo di Tom Benettollo (a più voci) in «Testimonianze» nn. 435-436.
5 V. E. Balducci, La lunga marcia dei diritti dell’uomo, ripubblicato (nella sez. «Archivio») anche in questo volume.
6 V. in prop. l’appassionato testo dedicato al Mondo ex (ed. Garzanti, Milano 1996) da Predrag Matvejevic.
7 E. Balducci, Montezuma scopre l’Europa, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992
8 E. Balducci, La Terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992.
9 È un elemento di dibattito e di riflessione storica che non può essere rimosso o saltato. Sergio Givone ne ha fatto cenno, con chiarezza, parlando di Giorgio La Pira (in un’intervista al «Corriere Fiorentino» dell’ 8 aprile 2011 intitolata: Utopista e profetico, ma sull’Urss sbagliò tutto). Per quel che riguarda Balducci, su questo tema a chi scrive è occorso di soffermarsi nell’intervento al Convegno Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani del 2-3-4 Dicembre 1994 (v. S. Saccardi, Libertà e liberazione in Ernesto Balducci, atti del Convegno cit. in «Testimonianze» nn. 373-374).
10 Il titolo dell’articolo (pubblicato postumo nel volume monografico nn. 345-346 di «Testimonianze » Europa: un continente e le sue città) era intitolato: Firenze e la città senza mura. Come epigrafe del volume fu scelta una sua frase che suona così: «Dentro le mura della città noi siamo responsabili di un patrimonio che ci è stato consegnato in vista delle generazioni future e del quale noi non siamo i padroni, ma solo gli ‘eredi fiduciari’».
11 V. in prop. S. Saccardi, Una civiltà in crisi. L’anima nera di Firenze, 1 aprile 1990, «Rinascita».
12 V. in prop. la sez. monotematica (Patologie del nostro tempo) a cura di S. Saccardi in «Testimonianze» nn. 438-439.
13 La sfida delle città era stato il tema di uno dei convegni Se vuoi la pace prepara la pace (19-20 Dicembre 1987): v. Atti in «Testimonianze» nn. 304-306.
14 E. Balducci, La sapienza viene da lontano, in Il mandorlo e il fuoco, volume 2° Anno B, ed. Borla, Roma 1981, p.63.
15 W. Szymborska, Salmo, in Vista con granello di sabbia, ed. Adelphi, Milano 2008, p.113.
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