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Se il papa tocca le corde del filosofo.
Pubblicato il 25 maggio sul "Corriere Fiorentino"

Di passaggio da Firenze, il filosofo ultranovantenne Edgar Morin, parlando dei destini della comune Terra patria, ha toccato, con freschezza di ispirazione, i tasti ambivalenti della fiducia nelle inesplorate risorse dello spirito umano e delle gravi emergenze dellet planetaria. E, pi o meno, in concomitanza con gli accenti laici dellappello del pensatore francese che si sono udite le parole, che, sulle sfide di fondo del mondo contemporaneo, ha pronunciato papa Francesco. Ha parlato, il papa venuto dalla fine del mondo, a credenti e non credenti. Ha ribadito che la Chiesa non una grande Ong. Il suo compito specifico quello di annunciare il Vangelo. Non solo sul piano della dimensione storica, ma anche su quello del riferimento al senso ultimo dellesistenza che si qualifica la testimonianza cristiana. Ma il cristianesimo non alibi per il disimpegno e la fuga dal mondo. L attesa della povera gente, come diceva La Pira, non va delusa. E un richiamo esigente al confronto con tale attesa nel contesto del mondo globale, quello di papa Francesco. Che sembra voler essere fedele al nome impegnativo da lui assunto, evocando (come il poverello di Assisi nella sua epoca) unaltra logica rispetto a quella dei poteri delleconomia. Non sono le uniche questioni, certamente, ad essere poste sul tappeto. Francesco I, come gi Giovanni Paolo II, torna insistentemente sul dramma ( incredibilmente rimosso) delle minacce alla libert religiosa e, in particolare, delle persecuzioni contro i cristiani. I diritti umani sono da assumere nella loro interezza. Ma non c dubbio che, pur senza intonazioni antiliberali, forte sia laccento posto sulla denuncia della Babele del capitalismo globalizzato. Nella costruzione di Babele se cade un mattone un dramma, se cade un lavoratore non succede nulla. Qualcuno si chiesto se il papa non avesse letto Pound e le sue invettive contro la cosmopoli finanziaria. Ma limpressione che, nelle parole usate contro lo strapotere del sistema finanziario ed a favore della sottolineatura del tema lavoro vi sia soprattutto la riscoperta di unetica della solidariet, oggi, troppo frettolosamente rimossa. E, dopotutto, a partire dal compromesso fra la cultura solidaristica (di radici socialiste e cristiane) e il capitalismo del XX secolo che sono state scritte alcune delle pagine pi civili ed apprezzabili della storia a noi prossima. Certo, il mondo cambiato; le compatibilt sono diverse, il nesso demografia-risorse pone problemi inediti e la crisi stringe in una morsa inesorabile le societ che erano del benessere. Ma il tema della dignit e dei diritti del lavoro torna prepotentemente allordine del giorno. Una politica che sapesse, nella variet delle sue ispirazioni, farsene interprete (a questo implicitamente rimandano, con intonazioni e risonanze fra loro evidentemente diverse, posizioni come quelle del nuovo umanesimo di Morin o come lalto magistero del papa) ritroverebbe qualcosa della sua ragione di essere. Dopotutto, ciascuno ha diritto al lavoro, alla libera scelta del lavoro, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione. Parole che stanno scritte non nel Capitale di Marx, ma (allarticolo 23) nella Dichiarazione universale dei diritti delluomo del 1948. Un Documento che rappresent un vero spartiacque della storia (E. Balducci), le cui enunciazioni, per troppi aspetti, sono ancora in attesa di un adempimento negli incerti scenari degli anni duemila.

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