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Hiroshima e il buon uso dell'anniversario
Pubblicato sul "Corriere Fiorentino" giovedi' 6 agosto 2015

6 Agosto 1945: la furia atomica investe Hiroshima . A settanta anni dall’apocalittico evento, è importante fare “ buon uso” di questo anniversario.   Ricordando la tragicità dei destini umani, innanzitutto. Vite dissolte nella fiammata di un attimo. E sopravvissuti piagati da ferite sconosciute, nel corpo e nell’anima. Questo fu Hiroshima. E questo fu, anche, Nagasaki. Chi decise il lancio della Bomba sostenne che altrimenti la guerra con il Giappone sarebbe durata a lungo, con numerosissimi caduti. Ma può esservi giustificazione per l’uso di  un’arma che stermina un numero enorme di civili, dissemina una città di feriti e ne contamina il territorio? Certo, l’atomica giunge al termine di una guerra che è stata soprattutto “guerra contro i civili”: con i bombardamenti di Coventry e Dresda, con gli eccidi, con l’orrore indicibile della Shoah. In ogni caso, Hiroshima chiude un’era e ne apre un’altra: l’ “era atomica”. Si svilupperanno, per reazione, forti sentimenti “pacifisti”. Ma non sarebbe stato semplice, nell’età della Guerra Fredda, praticare il pacifismo. Si veniva accusati di intelligenza con il nemico. In Occidente, si era sospettati, di essere “quinte colonne” dell’URSS. Nei paesi dell’Est, i pacifisti “indipendenti” (dal potere) rischiavano il gulag. A Firenze, la coscienza della svolta epocale prodotta dalla Bomba, scavò in profondità. Giorgio La Pira convocava a Firenze, nel nome del disarmo, sindaci di tutto il mondo, inclusi quelli, “nemici” per definizione, di Mosca e di Pechino. Ernesto Balducci, d’altra parte, in riferimento ai destini interdipendenti dei popoli, avrebbe elaborato la visione dell’ “uomo planetario”. E la rivista “Testimonianze”,  con i  suoi convegni, avrebbe messo in evidenza che i fondamenti della pace stanno nella giustizia, nella soluzione del divario fra Nord e Sud, nei diritti umani. In Autunno, il Comune di Firenze convoca nuovamente i sindaci di importanti città del mondo. Può essere un’occasione  per confrontarsi con i problemi del presente. Hiroshima, il cui dolore è consegnato alla memoria del mondo, è lontana, la Guerra Fredda è passata ed il Muro di Berlino non è che un’immagine sbiadita della storia del Novecento. Eppure, il mondo, per certi versi  interdipendente ed unito, è terribilmente lacerato e diviso. Pullula, ancora,  di testate nucleari, incluse le “atomiche dei poveri” (India e Pakistan) e c’è il rischio che del materiale nucleare cada in mani non raccomandabili. L’autentica cultura della pace ne ha ancora di passi da fare. La memoria di Hiroshima, in questo senso, non rimanda solo al fuoco bruciante che allora illuminò sinistramente il proscenio della storia ed aprì una nuova era. E’ una memoria impegnativa anche per il mondo degli anni duemila, sospeso  fra contrapposizione e cultura della convivenza. Un mondo per il quale è forse venuto il momento (per parafrasare Einstein e Russell) di mettere in primo piano la comune umanità e di dimenticare tutto il resto.

Severino Saccardi

(“Corriere Fiorentino”, 6 agosto 2015)

 
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