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Oltre piazza Duomo, i nemici del bello
Pubblicato sul "Corriere Fiorentino" il 2 settembre 2015

E’ un tema antichissimo, quello della bellezza. Per Platone, la bellezza è il tramite per accedere alla verità. Secondo Kant, è universale, il senso del bello e del sublime. La magia della natura e i capolavori dell’arte parlano alla sensibilità di ogni essere umano. E’ uno splendore che invita a scavare nel profondo. Forse non è un caso che il giovane agnostico Lorenzo Milani abbia iniziato un nuovo cammino studiando con il pittore Staude. Ma cos’è il bello? Un detto popolare sostiene che “è bello non ciò che è bello, ma ciò che piace”. Un invito (esso stesso da relativizzare) ad un relativismo alla buona. Resta il fatto che, al di là delle correnti e dei gusti estetici, c’è un deposito di bellezza, sul nostro pianeta (e, in misura maestosa, nel nostro Paese) la cui tutela e valorizzazione sono questioni “globali”. La bellezza non è solo un “singhiozzo di eterno” (come recita, parafrasando Baudelaire, il titolo di un’ iniziativa al Centro “Perlamora” di Figline Valdarno, il 4 Settembre, alle ore 21,30). E’ anche un tema, politico e culturale, di stringente attualità. E’ quanto sottolinea un piccolo, ma importante, libro dedicato ad “Arte e terrorismo” (di Luca Nannipieri, ed. Rubbettino). E’ il patrimonio artistico ereditato dalla storia (oltre alle vite umane: come quella di Khaled Al Asaad, direttore del sito archeologico di Palmira) ad essere nel mirino del fondamentalismo armato islamista. Ed è anche con il commercio di opere d’arte che il terrorismo si finanzia. C’è qui un fronte specifico che si è aperto. E’ enorme, la posta in gioco. Forse la domanda giusta non è più, o non è solo, quella relativa alla capacità della bellezza di salvare il mondo. Bisogna iniziare a domandarsi se la nostra civiltà sarà in grado, difendendo il proprio patrimonio di bellezza, di mettersi al riparo dalla distruzione che incombe. La capacità di intendere il bello e di capire gli elementi di profondità cui esso rimanda è uno dei cardini dello stesso vivere civile. Tutto si spegne, se si spegne la capacità dell’animo umano di accendersi di meraviglia. Va riconosciuto (se ne condivida o meno la complessiva impostazione politica) che Matteo Renzi, a Rimini, ha saputo usare toni fortemente evocativi parlando del condensato di sacralità e storia umana che Firenze e il suo Duomo rappresentano. Firenze è insieme “città teologale e umana”, scrisse anni fa, sulle pagine di “Testimonianze”, il prete-poeta, e fiorentino d’elezione, David Maria Turoldo. Eppure, è proprio nelle vie Firenze che si palesano insidie, certo assai meno virulente o inquietanti della violenza terroristica, che rischiano di minare la nostra “cultura della città”. Ne ha parlato Enrico Nistri (Chi scala la statua, “ Corriere Fiorentino”, 25 Agosto) a proposito dello “sfregio di Orsanmichele”, cioè della bravata di tre ragazzi che hanno tentato di scalarne la facciata. Microvandalismo, riduzione delle città d’arte a città-Disneyland, insensibilità e ignoranza (oltre al virus mortale della speculazione edilizia) sono nemici mortali del bello. Forse Kant non aveva del tutto ragione: è vero che il sentimento del bello è universale. Ma se si lascia spazio a brutture e turpitudini, è al brutto e al degrado che l’animo umano rischia di assuefarsi. “ Dentro le mura della città noi siamo responsabili di un patrimonio che ci è stato consegnato in vista delle generazioni future e del quale non siamo i padroni, ma solo gli ‘eredi fiduciari’ “: sono parole di Ernesto Balducci, di cui sarebbero da rimeditare il sapore profetico ed il valore di evidente attualità politica.

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