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Intellettuali e cultura (la politica senza bussola)
Il Corriere Fiorentino, lunedi' 6 marzo 2010

Esistono ancora intellettuali “irregolari” e non allineati? Se lo chiede David Allegranti  prendendo spunto dal libro, di Pierluigi Battista,  I conformisti. Tema interessante. Ma da inquadrare, forse, da un’altra angolatura. C’è un pubblico numeroso che accorre alle iniziative culturali (a discutere le tesi di Battista o alla contemporanea presentazione del libro della Sgrena) e che pare non aver rilievo agli occhi della politica.
In questione non è tanto il ruolo dell’intellettuale(allineato o anticonformista che sia) quanto la rilevanza medesima della cultura in una società in cerca di bussole di riferimento. Il mondo della cultura (si passi l’approssimativa definizione) vive di limiti e contraddizioni, ma è soprattutto il mondo della politica, e delle istituzioni, a doversi porre qualche interrogativo. Discutere dell’orientamento degli intellettuali può essere importante, ma fuorviante. Un altro è il tema all’ordine del giorno. Quello del peso della cultura nell’ambito della politica. Non è solo in questione l’abbassamento del livello culturale del ceto politico. E’ più a fondo che va scavato. Nella considerazione tutt’al più meramente “settoriale” che viene riservata alle questioni culturali. In ambito politico si tratta, al più, del “patrimonio” o dei “beni” culturali o, su un altro versante, del tema, certo importantissimo, della formazione e dell’istruzione.Ma la cultura in quanto tale non è più oggetto della riflessione della politica. Soprattutto, non sembra esserci più spazio per un tema di fondo: la visione culturale della politica. L’elaborazione di una cultura politica. Il tempo delle ideologie (da non rimpiangere) aveva la sua cultura politica. Il tempo della fine delle ideologie non può comunque vivere nella rimozione dell’elaborazione di una cultura politica. La politica è anche visione culturale del mondo e delle cose. O vive di questa consapevolezza o si degrada.  Rivendica il pragmatismo e svela nudità del potere.
Le (brutte) cronache di cui ci è dato leggere non sono che il riflesso patologico di una tale situazione. Il “politico” (di cui è autoreferenziale, e insieme svalutativa, perfino la definizione),se vive lontano dalle migliori espressioni della società civile ed  è privo di un‘autonoma  e definita visione delle cose, smarrisce il proprio compito. Il mondo globale ha bisogno non di meno, ma di più politica. Di una politica che recuperi un suo statuto e si interroghi sulle sue finalità.. David Allegranti, parlando di politica e cultura in Toscana, cita come esempio della solitudine dell’intellettuale, l’episodio della,  pur onorevole, sconfitta del direttore di “Testimonianze” alle Primarie PD.  Non sta a me a recriminare su quel che è avvenuto, ripetere considerazioni critiche sulla  composizione del “listino” regionale” o su un sistema che permette a poco più di centomila elettori (su due milioni e novecentomila) di decidere la composizione di buona parte del Consiglio Regionale. Certo è che dalla limitata, e non indolore, vicenda vissuta da chi scrive può ricavarsi, non polemicamente, qualche indicazione emblematica.  I riferimenti con cui, con gli amici che la condivisero, scegliemmo di caratterizzare quella campagna furono quelli di cultura, diritti, solidarietà. Temi evidentemente tutt’altro che prioritari, perfino in un’area di (centro)sinistra, per le attuali logiche della politica. Chi ha a cuore il buon andamento della vita civile (e, per quel che riguarda la mia parte politica, il progetto riformista del PD) dovrebbe farsene un problema. Quei  valori non costituiscono esercitazioni spirituali per anime belle. Sono i fondamenti possibili della ricostruzione della “buona politica” . Un problema (culturale) di fondo del tempo in cui ci è dato vivere.

 

Severino Saccardi

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