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Due Novembre sul Ponte. La morte senza tabu'
Pubblicato sul "Corriere Fiorentino" il 2 novembre 2014

“Dianina, caffè!”. Iniziavano così, allegramente, al mio richiamo, le giornate con Diana, amorevole compagna della mia vita. Parlavamo degli anni che ancora avremmo potuto vivere insieme. Così non è stato. Come mi si è rivelato il 1 marzo scorso, quando Diana, improvvisamente, se ne è andata. Un dolore grande, una cesura incredibile, il trovarsi sbalzato improvvisamente su un altro versante della vita. Avranno un senso particolare, quest’anno, per chi scrive, i giorni dedicati ad Ognissanti ed alla memoria dei defunti. Sono momenti in cui rivive il legame fra chi ancora è immerso nelle vicende della vita e la memoria di quelli che non ci sono più. Un legame più che mai necessario in un tempo in cui la realtà sembra appiattirsi su una sorta di indistinto presente. Un’epoca da cui sembra essere espunto ogni discorso sulla morte. Diceva Pascal che gli “uomini, non avendo potuto guarire la morte (…) hanno risolto, per vivere felici, di non pensarci “. Da un certo punto di vista, è comprensibile che sia così. Non si può sempre stare a riflettere sul fine ultimo dell’esistenza. Non si vivrebbe più. Ma non è nemmeno sano vivere solo all’ insegna delle “distrazioni”. In una dimensione fondata sull’effimero e sul dominio delle cose. Un certo tasso di cultura della rimozione rispetto ai “temi ultimi” è coessenziale, forse, alla stessa natura umana (era Freud, mi pare, a sostenere che ognuno di noi, sotto sotto, è convinto di essere individualmente immortale). Ma sconfina nell’inautenticità vivere all’insegna del tabù, che impone di tacere del “tema-morte” e distrugge così il ponte che, sempre, le religioni e le culture umane hanno provato  idealmente a gettare fra realtà mondana e “oltremondo”. C’è un bisogno profondo, che accomuna credenti delle diverse religioni e non credenti, di dare un senso alla “breve luce” dell’esistenza umana . Diceva ancora Pascal che, per chi muore, finisce il mondo. Ma non è semplice accettare che la realtà sia fondata sul trionfo del nulla. Come, crudamente, sembra dire l’apparenza delle cose. “Mi commuovono le minute sapienze / che in ogni morte si perdono”, scrive Borges. Rendere omaggio al patrimonio di “sapienze” di coloro che ci hanno preceduto e accompagnato nel cammino e che ora non ci sono più, apprendendone la lezione, è il modo migliore per contrastare rimozione e “cultura della morte” e per rammentare che senza cura della memoria diventano incerte le prospettive stesse del domani.

 
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